mercoledì 24 settembre 2014

Il dilemma del giudice (4)

Daniele Propato (foto da Insufficienza di Prove)

Abbiamo così ripercorso fino all'ultimo capitolo significativo – penso che il "dopo CdM" scada davvero nel tragicomico - questa tormentata storia processuale che i magistrati, inquirenti e giudicanti, determinano e nel contempo subiscono. L'abbandono della "pista sarda" impedisce di comprendere la genesi del Mostro di Firenze, tagliando fuori il primo, fondamentale episodio, nonostante un tentativo – fallito - di reinserirlo nel quadro d'insieme nel 1994. Per ironia della sorte, quella che doveva essere la "prova regina", l'arma dei delitti, tanto a lungo ricercata, persino sottoterra, è proprio "l'anello mancante" della vicenda processuale; ma né il commissario Giuttari né il Procuratore Vigna se ne preoccupano particolarmente (vedi interviste). La "fissazione" investigativa su Pietro Pacciani, il suo precario successo in primo grado, costringono, prima ancora che arrivi la prevista sconfitta in appello, ad allargare il quadro ai presunti complici, poiché Pacciani non può non essere colpevole e non si può non essere in grado di dimostrarlo; l'affannarsi e accanirsi su personaggi intellettualmente deboli, ampiamente malleabili, dà ben presto i suoi frutti. Chi non pensa che uno tosto come il commissario Giuttari, aduso alla lotta alla criminalità organizzata, di due scemi di paese ne farà un solo boccone e li farà cantare come canarini? E' una vittoria della giustizia?
Il meccanismo però è ad orologeria e va avanti da solo con regole sue proprie; per ben tre volte è la pubblica accusa stessa a sconfessare le acquisizioni proposte dalla magistratura inquirente (si parla di Tony: appello Pacciani; di Iannelli: Cassazione Pacciani; di Propato: appello Compagni di Merende). Ma due volte su tre i giudici condannano (o annullano l'assoluzione), contro le richieste dell'accusa: se non è un unicum, poco ci manca. Qualcuno sembra preferire di non sapere: la Corte di Assise d'Appello nulla sa né vuol sapere della lettera con il brandello di seno giunta alla Della Monica (vedere Sentenza pag. 186); la Corte di Cassazione addirittura ritiene che i primi tre duplici omicidi (Locci-Lo Bianco, Pettini-Gentilcore, Foggi-De Nuccio) nulla abbiano a che fare con il Mostro di Firenze (vedere Sentenza pag. 7). Ignorare è a volte più comodo di dover spiegare quello che spiegare non si può.

In conclusione, nella migliore delle ipotesi, sei omicidi su sedici sono rimasti senza colpevole; nella peggiore, è stata aggiunta al conto qualche ulteriore vittima.

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