lunedì 5 dicembre 2016

Alfa rossa a Calenzano (3)




Avevo già scritto sull’avvistamento dell’Alfa GT rossa a Calenzano in due post pubblicati nel maggio di quest’anno (vedi qui e qui). La recente diffusione delle registrazioni audio delle udienze del processo ai cd “Compagni di merende” su Radio Radicale dà l’occasione per tornare sull’argomento, con un racconto che struttureremo come una commedia in due atti e un intermezzo

ATTO I

Il 10 luglio 1997 al processo “Compagni di merende” avevano reso la propria testimonianza Rossella Parisi e Giampaolo Tozzini, la coppia di allora fidanzati che aveva incrociato l’uomo in fuga sull’Alfa rossa a Calenzano all’imbocco del ponte sul torrente Marina. In udienza si era parlato anche a lungo dell’identikit steso in quella occasione, poiché la pubblica accusa tentava di sottolinearne le somiglianze con uno degli imputati al processo, ossia Giovanni Faggi. Il successivo 24 ottobre venne sentito, indotto dalla parte civile avv. Santoni Franchetti, il maresciallo dei CC Dino Salvini, che già aveva deposto nel corso del processo Pacciani (udienza del 28 aprile 1994, trascritta su Insufficienza di Prove) ed era, nel 1997, ex comandante della Stazione carabinieri di Calenzano (ove aveva prestato servizio dal 1980 al 1996) e fresco pensionato (Nota: per chi volesse ascoltarla, la deposizione inizia intorno a minuto 58 della registrazione, parte I; vedi qui).


Nel 1994 non si era parlato dell’identikit – et pour cause, il soggetto descritto dai giovani non assomigliava per nulla a Pietro Pacciani. Nel processo CdM, invece, tra gli imputati vi è anche Giovanni Faggi, che presenta una discreta somiglianza con l’identikit, per cui l’avvistamento assume ora particolare rilevanza. Prima di entrare in argomento, il mar. Salvini descrive la zona del delitto (l’area compresa tra via delle Bartoline, il torrente Marina, la passerella pedonale sul torrente, via dei Prati, Travalle). Chiarisce che quella strada forma una specie di U, e percorrendola tutta si torna quasi al punto di partenza, quindi in certi orari ci va solo chi ci abita o va al ristorante di Travalle (Spazio pubblicitario). Precisa che la zona era conosciuta come luogo dove si appartavano coppiette e spinellati; a Calenzano era una delle zone notorie dove si recava chi voleva appartarsi, potendo arrivare in macchina fino al greto del torrente, quindi posteggiando in area nascosta alla vista (Nota: è l’area prospiciente alla passerella pedonale, proprio in corrispondenza del viottolo che porta, dopo 60 metri, sul luogo ove era parcheggiata la Golf del Baldi). 
(Foto di Jobbe dal Forum "Il Mostro di Firenze"


Fin qui, niente di nuovo: del resto, sono considerazioni che non fanno che confermare appieno quanto da me scritto nei due post precedenti. Fa invece sensazione la dichiarazione, in risposta a domanda dell’avv. Santoni, che la macchina rossa, forse un’Alfa, fu vista da un signore, che si presentò alla compagnia di Prato, dove fu realizzato l’identikit. I due giovani vennero sentiti solo successivamente e sulla base della loro testimonianza fu modificato il precedente identikit, giovani che però non erano in auto, bensì si trattava di una coppietta appartata – ferma in macchina - a una distanza di più di un km dal luogo dove avvenne il fatto. Le parole del maresciallo creano parecchio scompiglio in aula, andando contro un dato di fatto che sembrava pacificamente accertato. Salvini incalzato dalle domande ribadisce che l’auto fu vista dal “signore solo” e che i fidanzati videro invece l’uomo, a piedi, che li spiava al vetro della macchina. Questa versione viene ripetuta più volte, pur con il distinguo di non aver compiuto lui direttamente gli atti di P.G. che erano di competenza della Compagnia CC di Prato, il cui Nucleo Investigativo era comandato dal maresciallo Parretti (NdA: il mar. Parretti non comparirà al processo in quanto gravemente infermo e ricoverato in ospedale a Roma). Salvini ribadisce di essere ragionevolmente sicuro che la coppia, di cui non ricorda i nomi, abbia visto una persona a piedi; dice che c’erano tre autovetture vicine, gli sembra che la coppia in questione fosse in quella di centro, e che i due giovani avrebbero corretto e integrato il primo identikit fatto sulla base della testimonianza del “signore solo”. Ricorda addirittura che le modifiche al disegno vennero fatte da un appuntato (NdA: di cui dice il nome, ma che nella registrazione non riesco a decifrare) diplomato alla scuola d’arte. A questo punto gli avvocati difensori tempestano e il PM Canessa si impegna a recuperare il fascicolo riguardante l’identikit alla compagnia CC di Prato. Tra le altre cose interessanti della discussione viene fuori che una donna, abitante nel condominio vicino al luogo del delitto, avrebbe sentito dei colpi di arma da fuoco in orario imprecisato (NdA: che dalla lettura dei giornali risulta essere intorno alle 23.30). Si parla anche della famosa pietra a forma di piramide tronca, ma senza, a parere di chi scrive, alcun costrutto; lo stesso PM chiarisce di non attribuire all’oggetto alcuna rilevanza o nesso con il delitto.

INTERMEZZO

Il 30 ottobre viene sentito il maresciallo Diotaiuti Angelo, che su incarico del PM ha fatto gli accertamenti necessari per chiarire l’attendibilità della testimonianza Salvini. Diotaiuti, che non si era occupato delle indagini nel 1981, riferisce che le uniche persone che risultano agli atti della stazione di Calenzano e compagnia di Prato come coinvolti nella predisposizione dell’identikit sono i testi già sentiti, ossia la coppia Parisi – Tozzini. Gli stessi erano gli unici presenti insieme al mar Parretti e al disegnatore della Questura di Firenze. Riferisce di aver sentito telefonicamente Parretti in ospedale e anche quest’ultimo esclude la presenza di altri testi, compreso Salvini, che quindi avrebbe riferito solo informazioni di seconda mano. L’appuntato pittore nominato da Salvini non è stato identificato. Il teste però non sa dire chi abbia materialmente redatto l’identikit, avendo unicamente consultato gli atti cartacei disponibili. L’avv. Filastò chiede che venga identificato e sentito come teste l’autore materiale, sì da fugare ogni dubbio in merito alla presenza di altri testi rimasti sconosciuti. Il PM è piuttosto seccato, in quanto fa notare che esiste un rapporto giudiziario agli atti (dove la coppia di testi non è nominata, ma qualificata come “confidenti”) e non servono ulteriori accertamenti, ma la Corte dispone doversi identificare l’autore dell’identikit.

II ATTO

Il 13 novembre a conclusione di questa defatigante maratona viene sentito il graduato della polizia scientifica Giovanni Simpatia, che era stato l’autore materiale dell’identikit. Simpatia racconta di essere andato a alla caserma dei CC di Prato per fare una ricostruzione grafica; ricorda che i testi volevano rimanere anonimi, non volevano pubblicità, per cui lui si limitò a prendere nome e cognome (infatti sono Tozzini e Parisi). Si mise in una stanza con i testi per stare tranquillo, a fine lavoro confermarono la somiglianza; diedero poi gli altri dati (altezza, età, corporatura). L’identikit venne trasmesso alla Questura di Firenze e alla Criminalpol di Roma. Non sa nulla di altri testi che abbiano descritto il tizio sospetto in macchina, né di di un eventuale photofit. Conferma che sul particolare dei capelli i testi erano indecisi, in un primo momento aveva messo più capelli, poi glieli hanno fatti togliere (Nota: il particolare coincide con le testimonianze già rese in aula). La storia si chiude qui.

A questo punto, per ristabilire la probabile verità dei fatti, possiamo citare uno stralcio del rapporto giudiziario dei CC relativo al duplice omicidio dell’ottobre 1981, secondo il quale i due testi avendo incrociato “un'autovettura proveniente dal senso opposto, che viaggiava ad elevata velocità, al fine di evitare una possibile collisione, erano stati costretti a fermare il proprio mezzo e nella circostanza notavano trattarsi di un’autovettura tipo sportivo di colore aragosta o rosso sbiadito condotta da una persona di apparente età 45/50 anni, stempiata dal viso e sguardo stravolti, con lineamenti tondeggianti, vestito di scuro, di cui riuscivano a far comporre un identikit della parte superiore.” Inoltre, “altro giovane riferiva che verso le 22:40, mentre si trovava appartato insieme alla fidanzata, a bordo della loro autovettura, parcata all’inizio di via dei Prati, prima di entrare in intimità, la ragazza si era insospettita per la presenza di un’ombra. Al che, per tranquillizzare la fidanzata, era sceso dall’autovettura ed in tale circostanza aveva notato un uomo avente le stesse caratteristiche di quelle descritte dai precedenti due giovani, tranne una lieve differenza dei capelli, che pur radi erano corti e dritti, il quale avendolo notato si dileguava con andatura svelta e goffa nella adiacente sottostante campagna” (Nota. stralci dal volume "Al di là di ogni ragionevole dubbio").


Se ne dovrebbe concludere che il maresciallo Salvini ricordava male, che non vi era alcun “signore solo” che prestò prima di altri testimonianza per l’identikit, che a far stilare l’identikit stesso furono i due testi ben noti e sentiti al processo, che l’altra coppia, ferma in macchina all’inizio di via dei Prati, vide una persona somigliante all’identikit aggirarsi a piedi in orario antecedente al delitto e in luogo abbastanza vicino, una persona che poteva avere l’atteggiamento di un guardone. Sugli “scherzi della memoria” in perfetta buona fede ho già scritto altre volte e non è il caso di ritornarci sopra ora. Rimanendo ai fatti, sembra probabile che un uomo si aggirasse a piedi nella tarda serata (22:40?) del 22 ottobre 1981 lungo via dei Prati forse per spiare le coppiette appartate (tre auto vicine all’inizio di via dei Prati?); che intorno alle 23:30 vennero sentiti dei colpi di arma da fuoco; che intorno a mezzanotte un uomo, forse lo stesso prima visto a piedi, fuggiva precipitosamente e con aspetto stravolto dal luogo del delitto in direzione Calenzano – Firenze a bordo di un’Alfa GT rossa. Il seguito giudiziario della vicenda dimostra che né la persona né l’auto vennero mai identificate; né si hanno notizie su eventuali ricerche, mentre il Salvini nella sua deposizione chiarisce che vennero sentiti i (pochi) abitanti della zona, tra i quali evidentemente non c’era l’uomo dell’identikit. Alla fine, chiudendo le reti intorno ai Compagni di Merende, la Procura cercò di far coincidere l’identikit con l’imputato Giovanni Faggi, senza poter dimostrare che questi avesse mai avuto in uso un’auto appariscente come un’Alfa GT rossa; quindi senza esito dal punto di vista giudiziario. Si può concludere che molto probabilmente l’uomo sull’Alfa aveva avuto in qualche modo a che fare (come autore o involontario testimone, anche sopraggiunto subito dopo l' omicidio) con il delitto Cambi - Baldi. A modesto parere di chi scrive, è deprecabile il fatto che una pista di rilevante importanza si sia persa nel nulla.

venerdì 2 settembre 2016

Il teste Delta







Articolo da L'Unità


Scrivo questi articoli non per esporre elementi nuovi, ma fondamentalmente per raccogliere le idee, mie e di coloro che vorranno leggere, intorno ad un argomento – la nascita dell’ipotesi investigativa “Compagni di merende” – che trovo affascinante.

Conclusa dunque l’analisi delle dichiarazioni della teste Gamma – e avendo letto con attenzione l’interessante contro-deduzione di Antonio Segnini – proseguo più brevemente con il teste Delta, ovvero Norberto Galli, che all’epoca conviveva con la Ghiribelli e, per dirla elegantemente, la aiutava nel suo lavoro.

Mi risulta che Galli fu sentito a SIT il 27 dicembre 1995, subito dopo la seconda deposizione Ghiribelli, e poi l’8 febbraio 1996; prestò testimonianza al processo il 3 luglio 1997. Delle SIT, delle quali non mi è disponibile il verbale, si può ricostruire (ma solo parzialmente) il contenuto leggendo ambedue i libri di Giuttari (solo 27 dicembre) e la cronologia del libro di Bruno-Cappelletti-Cochi (fonti secondarie). La deposizione a processo è documentata, come al solito, in Insufficienza di Prove (fonte primaria, ma versione fornita a 11 anni dai fatti).


Tanto premesso, veniamo al merito.

Avendo sentito il 27 dicembre la Ghiribelli sostenere di aver visto un’auto rossa scodata ferma su via degli Scopeti in corrispondenza della tenda, auto che la teste ritiene identica a quella del Lotti (sulle modalità del riconoscimento si veda post precedente), il commissario Giuttari decide di sentire immediatamente Norberto Galli, che quell’8 settembre 1985 accompagnava la Ghiribelli di ritorno da Firenze a San Casciano. Il Galli viene portato in questura la sera stessa, per evitare che i testi – che peraltro non stanno più insieme da anni – possano concordare una versione comune. Nel resoconto di Giuttari, sostanzialmente concorde in entrambi i suoi testi, Galli, dopo un’iniziale titubanza, ricorda “bene” di essere passato in auto dagli Scopeti la notte dell’8 settembre insieme a Salvatore Indovino “e forse Gabriella Ghiribelli”.  Avendo notato un’auto di media cilindrata parcheggiata in prossimità della piazzola, Indovino avrebbe commentato “Beati loro che almeno scopano!” Il commento fa pensare che nell’immediatezza l’auto vista dai testi sia stata ritenuta l’alcova passeggera di una coppia appartatasi in prossimità di una piazzola che notoriamente si prestava bene alla bisogna [Nota: nel libro “Il Mostro” il commento sarebbe stato invece rivolto agli occupanti della tenda, ma potrebbe trattarsi di un errore di lettura del verbale]. L’elemento più importante riferito da Giuttari è che Galli ammette, dopo una certa titubanza, di non aver detto nulla ai carabinieri per paura di avere noie con la giustizia, in tal modo confermando quanto riferito dalla Ghiribelli nel pomeriggio. Possiamo integrare il racconto di Giuttari con un dato espunto da “Al di là di ogni ragionevole dubbio”: Galli parlò in quell’occasione di un’auto di forma un po’ squadrata e di colore chiaro [Nota: non era un mistero, dopo il processo del 1994, che Pacciani all’epoca possedeva una Ford Fiesta bianca]. Vi è poi l’excursus sulle auto di Lotti, delle quali il teste ricorda la 124 acquamarina e un 128 coupé [Nota: sono queste effettivamente le auto usate dal Lotti nel periodo di permanenza del Galli a San Casciano].

Del SIT dell’ 8 febbraio so purtroppo ben poco; probabilmente si trattò di ripetere davanti ai magistrati (P.M. Canessa e Fleury) quanto il Galli aveva già raccontato alla polizia giudiziaria. Un elemento che sembra confermato è la presenza di Indovino; Galli infatti riferisce che solitamente non passava, per tornare a San Casciano, da via degli Scopeti, ma quella sera era stato lo stesso Indovino a chiedergli di portarlo a fare una passeggiata in macchina [Nota: la Ghiribelli invece negherà recisamente che Indovino fosse con loro quella sera, spiegando anzi che stavano andando a fargli la puntura; ma la sequenza cronologica dell’avvistamento rispetto alla puntura non è del tutto chiara]. In questa testimonianza, inoltre, la FIAT 128 coupé, che nel SIT precedente era rimasta di colore imprecisato, diventa correttamente rossa.  

 
Panorama da via di Faltignano


Fin qui, tutto bene. Facciamo ora un salto in avanti al processo CdM udienza del 3 luglio 1997.

Rischio di annoiare il lettore riportando testualmente brani della trascrizione dell’udienza, ma ritengo che sia necessario leggere con attenzione (il grassetto è ovviamente mio).

Galli risponde sull’auto vista a Scopeti

P.M.: Senta ancora una cosa: lei ricorda l'episodio della macchina vista davanti alla piazzola di via degli Scopeti?

N.G.: Senta, io come ho detto, io non mi ricordo alcun particolare. Io non potrei dire che macchina né se era bianca, né se era rossa. Io mi ricordo, nel passare, però, io non è che mentre passavo, accanto a me, non mi ricordo se c'era, la Gabriella - lei c'era sempre - o se c'era anche Salvatore Indovino. Cioè, io...

P.M.: Cioè, lei ha questo ricordo: la Gabriella c'era sicuramente, forse, secondo lei, c'era...

N.G.: Non mi ricordo di preciso questo particolare, perché in quel periodo lui stava poco bene e si andava a fargli la puntura, si faceva la puntura. E, nel passare, io ho visto così, con la coda dell'occhio il culo di una macchina però non potrei dire di che colore era. Mi sembra una macchina... una macchina di media cilindrata. Io non potrei dire altro, non vorrei dire altre cose.

(…)

P.M.: Senta, e di questa macchina che poi... vicino a questa piazzola, lei ricorda, questa di media cilindrata, com'era posizionata?

N.G.: lo ho visto con il... così, nel passare, mi sembrava che fosse il culo verso la strada. Io...

P.M.: Verso Firenze? La parte...

N.G.: Verso l'imbocco della strada perché io andavo in su.

P.M.: Bene. E il frontale della macchina, quindi, era verso San Casciano.

N.G.: Sì, verso in su. Così, non l'ho visto...

P.M.: O verso la piazzola?

N.G.: Verso, verso come lei dice la piazzola. Io ho visto qualcuno così, nel passare. Mi sembrava una macchina... Ho detto, io... media, così, normale.

P.M.: Quindi, se mi è consentito, un po' abboccata verso la strada che va alla piazzola, era questa macchina.

N.G.: Sì, abboccata così, lungo la strada, volta in su.

 Galli risponde sulle auto del Lotti

P.M.: Lei sa che macchina aveva il Lotti Giancarlo? Che macchine ha avuto?
N.G.: Io l'ho visto quasi sempre, quelle volte che l'ho visto passare, ci aveva un... o era un 124 o un 125 color verde, più o meno un colore in quel modo vecchio.
P.M.: Il 128 coupé glielo ha mai visto?
N.G.: Io il 128 coupé l'ho visto, mi sembra, perché me lo rammentò lei, una volta.
P.M.: Lo ha mai visto...
N.G.: Io l'ho sempre visto in giro con quella macchina lì.
P.M.: Lo ha mai visto Giancarlo con il 128 coupé?
N.G.: Una volta mi sembra di averlo visto, perché me lo rammentò lei, perché sennò io...
P.M.: Io le ho rammentato che ce l'aveva, lei ricorda...
N.G.: Sì, e se lo avevo visto. Però io lo vedevo sempre con questa macchina verde in giro, lo avevo visto. Una volta l'ho visto con quella rossa, sì.
P.M.: Era...
N.G.:
Era rossa tutta scolorita, sarà stata arancione, non rossa, non so (Nota; il colore del coupé FIAT 128 ufficialmente era “rosso arancio” .  Si noti la quasi perfetta coincidenza con la descrizione data dalla Ghiribelli nell’intercettazione telefonica del 21 dicembre 1997).
P.M.: Perfetto. Questo, volevo sapere.

Galli risponde sul discorso con la Ghiribelli

P.M.: E di questa macchina avete poi parlato con la Ghiribelli dopo che c'era stato l'omicidio?

N.G.: Mah, io questo... Si sarà parlato, ma non...

P.M.: Lo ha detto lei, eh, signor Galli.

N.G.: Sì. Io... ascolti, io posso, non posso ricordarmi con certezza. Si sarà parlato certamente.

(…)

P.M.: Lei, insisto nella domanda, successivamente, il giorno dopo quando ha saputo dell'omicidio, ne ha parlato con la Ghiribelli? Lei ora stava dicendo: 'sa, io in quell'epoca avevo noie con la legge...'

N.G.: Io, ma noi si può aver parlato benissimo, si sarà parlato, ma...

P.M.: Dice la Ghiribelli che lei gli ha detto: 'lasciamo perdere, non lo diciamo a nessuno'.. È vero, o no?

N.G.: Questo se si è detto si sarà detto tutti e due d'accordo. Perché tanto lei sa che la Ghiribelli...

P.M.: Io le chiedo: indipendentemente da chi lo ha detto, questo discorso lo avete fatto?

N.G.: Questo si può averlo detto tutti e due. Io non mi ricordo se l'ho detto io o l'ha detto lei.

P.M.: Benissimo. 

N.G.: Perché prima cosa lei sa che è una donna che, al momento, allora, quando la conoscevo io, beveva come una spugna.

P.M.: Ma il discorso è questo: voi avete fatto quel discorso. Lei dice: 'non ricordo se lo abbiamo fatto di comune accordo, se l'ho proposto io e se lo ha proposto lei. Comunque ci siamo detti di questo fatto... ' 

N.G.: Sì, perché tutti e due si aveva, si aveva un piede, insomma...

Nel seguito dell’udienza, il Galli dirà, in termini molto incerti, che probabilmente erano passati da via degli Scopeti perché la superstrada era interrotta (si veda la deposizione di Lorenzo Nesi al processo Pacciani); invece secondo la Ghiribelli era la strada più comoda tornando da Firenze per passare da indovino e fargli la puntura.

Possiamo trarre delle conclusioni da questo (purtroppo scarso) materiale?

Interrogato senza preavviso, Galli conferma, con qualche incertezza, il fatto dell’avvistamento. Quanto al tipo e al colore dell’auto vista, è chiaro che va a tentoni e i suoi ricordi non sono affidabili. Ricorda la presenza di Salvatore Indovino, particolare che mal si attaglia alla situazione descritta dalla Gabriella. Su insistenza di chi lo interroga, ammette di non aver voluto parlare del fatto per la situazione irregolare in cui sarebbe venuto a trovarsi (sfruttamento della prostituzione).  La vaghezza del ricordo certifica di per sé che, se l’avvistamento è veramente avvenuto nel luogo e tempo riferito, fu dal teste ritenuto poco importante. Quanto al Lotti e alla sua auto, né in corso di indagini preliminari né a processo il teste mette in collegamento la FIAT 128 coupé con l’auto da lui vista quella sera; anche se i ripetuti accenni in udienza chiariscono che, nel secondo SIT, il tema fu toccato, su esplicito suggerimento degli inquirenti. Galli ha visto un’auto, di media cilindrata, forse bianca (lo dice prima di conoscere la versione data dalla compagna). Decise di non avvisare le FF.OO. per salvaguardarsi. E’ chiaro che, nei successivi tre anni di convivenza con la Ghiribelli, l’accostamento al 128 coupé di Lotti non venne mai fatto.

L’analisi critica ci conduce alle stesse risultanze alle quali aveva condotto l’esame della teste Gamma. Il massimo che si può dire è che, passando in macchina per via degli Scopeti, la coppia Galli – Ghiribelli ha forse visto un’auto posteggiata all’imbocco della stradina. Che quest’auto abbia avuto a che fare con un delitto commesso uno o due giorni prima rimane però tutto da dimostrare.

Nella ricostruzione accusatoria fatta propria dalla sentenza contro i “Compagni di Merende” il ruolo dei testi Gamma e Delta è quella di riscontro esterno alla confessione del Lotti; riscontro parziale, in quanto i testi avrebbero visto non il Lotti, ma la sua auto, o meglio un’auto simile a quella che – ritiene la sentenza – il Lotti forse utilizzava ancora all’epoca (avendone già da mesi acquistato e assicurato un’altra).  Ma questo riscontro va ulteriormente ridimensionato: esso vale solo accettando come scontata la veridicità della confessione dello stesso Lotti. Infatti il ragionamento è: il Lotti dice di essere stato in quel momento in quel determinato luogo e in effetti due testimoni videro in quel momento e in quel luogo “un’auto” che poteva essere quella del Lotti.

Foto dal sito www.cronaca-nera.it

domenica 14 agosto 2016

La teste Gamma





Gabriella Ghiribelli depone al processo "Compagni di merende2 (foto da Insufficienza di prove




Devo premettere a questo post una nota tecnica. Una seria analisi storico-filologica delle testimonianze non può prescindere da una precisa, letterale rendicontazione verbale delle dichiarazioni. Per quanto, soprattutto dopo le più recenti pubblicazioni, il materiale sull’argomento “processi sul caso del cd. Mostro di Firenze” sia relativamente abbondante, lo stesso rimane non sufficiente alla bisogna.  Del resto, quand’anche venissero pubblicati i verbali integrali, essi non sarebbero adeguati se redatti, come era costume, in forma riassuntiva (ad eccezione dei verbali di udienza). Le osservazioni che seguono vanno dunque prese con beneficio di inventario e futuri possibili adeguamenti, quand’anche l’accesso a ulteriori materiali sembri nell’immediato futuro piuttosto improbabile.


Sia i sostenitori dell’ipotesi ufficiale conclamata nei processi ai “Compagni di merende”, sia gli aderenti all’ipotesi ”Giancarlo Lotti = unico assassino  = MdF” sono certi che Lotti – o quanto meno la sua auto FIAT 128 coupé rossa - sia stato effettivamente avvistato dalla teste Gabriella Ghiribelli la notte di domenica 8 settembre 1985 su via degli Scopeti sotto la piazzola ove avvenne l’omicidio.  Sul cosa ci facesse e perché, in un momento che con grandissima probabilità non era quello del delitto, le due scuole di pensiero su indicate si dividono; ma il fatto dell’avvistamento rimane per entrambi una pietra miliare della propria teoria – teoria che nel primo caso è anche diventata verità giudiziaria.

Ho già parlato più di una volta della genesi dell’indagine su Lotti, che trova il proprio primo fondamento nei SIT di Gabriella Ghiribelli (21 e 27 dicembre 1995); ma forse può valere la pena di ri-narrare e approfondire alcune connessioni.


Sappiamo, grazie anche alla cronologia curata da Francesco Cappelletti per il libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, che Giancarlo Lotti era stato sentito dalla SAM nel luglio del 1990, insieme con altri amici e conoscenti di Pietro Pacciani. Sappiamo che era stato risentito – informalmente – nel luglio del 1994 dopo la testimonianza Nesi, il quale aveva collocato Pacciani in via degli Scopeti la presunta sera del delitto insieme a un accompagnatore non riconosciuto. In quella occasione era stato chiesto a Lotti quali auto aveva posseduto ed egli aveva pacificamente nominato – tra le altre – una FIAT 128 coupé rossa. Sappiamo inoltre che già in precedenza vi erano stati testimoni (Frigo e Caini – Martelli, non utilizzati nel processo) che avevano parlato di due auto, una bianca e una rossa. Sappiamo infine che nell’ottobre del 1995 il nuovo capo della Mobile di Firenze Michele Giuttari era stato incaricato dal procuratore Vigna di riesaminare il caso per verificare se vi fossero indizi – oltre quelli emersi a processo – di possibili complici del Pacciani. E sappiamo anche che Giuttari aveva reperito (semplifico molto per brevità) tra i “testimoni dimenticati” la coppia Chiarappa – De Faveri, che aveva visto un’auto di colore rosso sbiadito e con la coda tronca stazionare per tutto il pomeriggio della domenica 8 settembre di fronte al viottolo che porta alla piazzola del delitto; in prossimità vi erano due uomini (tra i quali, evidentemente, non era stato identificato Pacciani) che osservavano insistentemente il bosco. Nella convinzione che l’omicidio sarebbe poi avvenuto quella sera, la persistente presenza di un’auto coincidente con quella vista in altre occasioni (Vicchio) nell’immediata prossimità della tenda delle vittime doveva essere sembrata all’investigatore una circostanza di gran conto (e, anche se i giudici non accoglieranno la testimonianza dei coniugi, non possiamo certo, sulla base delle sue conoscenze dell’epoca, dargli torto).

Abbiamo quindi delle testimonianze che portano a sospettare del ruolo di un’auto di colore rosso sbiadito a coda tronca nei due ultimi duplici omicidi della serie. Abbiamo un amico di Pacciani che ha ammesso di aver posseduto, in quegli anni, un’auto compatibile. Non c’è da stupirsi che nel dicembre 1995, nell’approssimarsi del processo di appello a Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti venga messo sotto torchio.


Il 27 novembre ( si veda http://i-compagni-di-merende.blogspot.it/2009/12/istruttoria.html ) era stata interrogata Filippa Nicoletti, il cui nome era stato fatto dal Nesi come amica di Lotti e Vanni.  Già alla Nicoletti si chiedono notizie della macchina rossa (lo dirà lei stessa in una telefonata intercettata con Giancarlo Lotti il 16 dicembre; si veda M. Giuttari, Il Mostro pag. 109). Il 15 dicembre è il turno dello stesso Lotti, che a sua volta fa il nome di Gabriella Ghiribelli, la quale viene convocata il 21 dicembre.   Come alla Nicoletti, senz’altro le si saranno chieste notizie dell’auto rossa scodata; ed ecco il colpo di scena, non riportato a verbale, ma confermato da una telefonata intercorsa quello stesso giorno tra la Nicoletti e la Ghiribelli e debitamente intercettata: la persona informata sui fatti ha effettivamente visto, nel posto giusto e nel momento (che si credeva) giusto, l’auto che avrebbe dovuto vedere; infatti, la domenica sera intorno a mezzanotte, dopo aver esercitato a Firenze “ il suo antico mestiere” (così Giuttari, Il Mostro pag.112), Gabriella in compagnia del suo protettore tornava a San Casciano percorrendo in auto proprio via degli Scopeti. E’ un passo ben noto, ma che comunque riportiamo:

<< Io l’unica cosa che posso dire è che io una macchina arancione l’ho vista… sotto le luci piccole, piccole di strada… sai, in una strada piccola potrebbe essere stata arancione… potrebbe essere stata rossa… scodata di dietro… Mi hanno fatto vedere la foto… l’ho riconosciuta…>> (NdA: quali luci? Non vi sono lampioni in quel tratto di via degli Scopeti. Forse i catarifrangenti, se già c’erano all’epoca, che danno una colorazione arancione a qualsiasi oggetto).

 Giuttari, nel suo libro sopra citato, ammette: “dal verbale dell’interrogatorio quelle domande dei miei uomini non risultano, segno che dovevano averle fatte a margine, dopo l’interrogatorio, informalmente” (Il Mostro, pag. 114). Il che gli dà il destro per spostare di qualche giorno in avanti il coup de theatre, quando sarà lui a interrogare direttamente la Ghiribelli (27 dicembre 1995):

 “Alla fine individua una vettura. Una FIAT 128 coupé. Quindi aggiunge che un’auto proprio uguale, dal colore però sbiadito, ce l’aveva all’epoca Giancarlo Lotti.”

 Incollo a questo punto dal contributo di Cappelletti relativo alle dichiarazioni del 27 dicembre:

“Il verbale quindi reca “Circa tre mesi fa (settembre 1995 n.d.r.) ho avuto modo di notare la macchina del Lotti e vedendo che aveva la portiera di colore rosa mi venne spontaneo dire al Lotti in tono scherzoso ‘Vuoi vedere che sei tu il mostro?’ (…) Il Lotti rimase male e mi disse: ‘Cosa c’entra la mia macchina con quella che hai visto te?’. In seguito il Lotti è venuto a trovarmi con altra macchina e mi spiegò che l’aveva cambiata perché l’altra non funzionava più.” Mostratele 2 fotocopie riproducenti la parte anteriore e posteriore di una Fiat 128 coupè, la Ghiribelli dichiarò che la macchina vista quella sera era dello stesso modello riprodotto nelle fotocopie ed aggiunse: “Il Lotti Giancarlo ho iniziato a frequentarlo dall’anno 1986 e mai, prima della circostanza riferita, avevo avuto modo di notare che auto egli avesse, in quanto era solito lasciare l’auto alla Fortezza o in Piazza Indipendenza e venire da me a piedi. Anche in San Casciano non avevo mai avuto l’opportunità di notare il Lotti in auto”.


A questo punto, però, possiamo osservare che c’è qualcosa che non quadra. La spiegazione fornita dalla teste è molto debole: infatti, quale motivo avrebbe avuto la Ghiribelli nel settembre 1995 (!) di collegare improvvisamente il ricordo dell’auto vista la domenica 8 settembre 1985 con quella da lei vista usare da Lotti a distanza di 10 anni? Ma non solo: quali strumenti aveva la Ghiribelli per identificare un’auto vista di sfuggita più di 10 anni prima con quella posseduta all’epoca da Lotti? Ovviamente nessuno giacché: 1. Nello stesso interrogatorio la teste afferma di aver iniziato a frequentare Lotti nel 1986, ossia dopo l’omicidio (dichiarazione che sarà successivamente corretta, ma dobbiamo riportarci al contesto investigativo del 1995 e ritenerla al momento veritiera); 2. Non aveva mai notato quale macchina avesse Lotti prima del settembre 1995; 3. L’auto da lei vista nel 1985 aveva uno sportello di altro colore (rosa anziché rosso), quindi assomigliava all’auto posseduta da Lotti nel 1995 – ma dal 1985 al 1995 Lotti aveva cambiato per lo meno due auto dopo la 128 coupé. Queste stesse osservazioni critiche nei confronti della teste avrebbero potuto venire avanzate nell’immediatezza dagli investigatori, se non altro per verificare la fondatezza del convincimento della Ghiribelli. Ma non sembra che se ne sia fatta parola.


Un ulteriore elemento del presunto riconoscimento può destare qualche perplessità. Il 27 dicembre la Ghiribelli dichiara che Lotti al suo interrogativo retorico (ma era mica la tua quell’auto?) ha semplicemente risposto: “Cosa c’entra la mia macchina con quella che hai visto te?” e la discussione si è chiusa lì. Il 25 gennaio, però, in una telefonata intercettata tra Ghiribelli e Lotti viene registrato il seguente scambio di battute:

<< Ghiribelli: ‘non ci si può fermare neanche a pisciare’ lo hai detto tu

Giancarlo Lotti: Che c’entra! ….e guardano dove ci si ferma! Me l’hanno detto loro… io non ho mica fatto nulla… A me non me ne frega nulla! Non ritornino  a fare quel lavoro perché non mi sta bene!>> (Il Mostro pag. 137, Al di là di ogni ragionevole dubbio pag. 147; si ponga però attenzione alla frase in grassetto).

In dibattimento (udienza del 3 luglio 1997, reperibile su Insufficienza di prove) la Ghiribelli darà una versione un po’ confusa relativamente ai tempi di questo scambio di battute. A domanda del P.M.: <<Perché quando a me mi sono venuti a domandare addirittura, sono venuti gli inquirenti, sono andati a domandarmi, dice: 'ma te hai visto qualche macchina? Qualche cosa, hai visto nulla?' 'Di dove?' Dice: 'degli Scopeti, perché Giancarlo ha fatto il tu' nome'. 'Ma che a scopo il mi' nome?' Dice... M'hanno domandato questa storia, dico: 'ma io lo dissi già all'epoca che ho visto una macchina rossa scodata perché non mi chiedete mai che tipi di macchine sono perché io delle macchine... però l'era rossa. Senonché, quando vengo a sapere dagli inquirenti che Giancarlo aveva implicato me, che poi praticamente. .. ora dopo fra parentesi lo dico anche quest'altra storia. Senonché dopo io telefono a Giancarlo. Telefono a Giancarlo a San Casciano e gli faccio: 'Giancarlo che puoi venire un attimo a Firenze, c'ho da parlarti?' Gli faccio: 'Giancarlo, come mai hai implicato me? Non è che per caso fosse tua la macchina che ho visto quella sera allora?' E lui mi risponde: 'perché, non ci si può fermare nemmeno a pisciare?' Con questo s'è dato là zappa sui piedi da sé>.>

A domanda del presidente: << G.G.: Ho detto: 'sì, io quella macchina l'ho vista quella sera, era scodata' perché torno a ripeterle, signor Giudice, che io non mi intendo affatto di macchine, sicché che tipo di macchina fosse proprio non lo so. Quando son tornata a casa - visto che mi hanno fatto il nome di Giancarlo, perché si vede che gli aveva fatto il mio - io ho telefonato a Giancarlo a San Casciano e gli ho detto: 'Giancarlo, puoi venire un attimo a Firenze, ti devo parlare? Dice: 'sì'. Arrivato a Firenze gli faccio: 'ma che discorsi fai te nei miei riguardi?' Dice: 'no, mi hanno domandato se io frequentavo qualche ragazza, ho detto che frequentavo anche te, oltre alla Filippa', mi fa Giancarlo. Dico: 'ma non è che, allora, quella macchina rossa che io ho visto, scodata, che forse la fosse tua?' E lui mi fa: 'che, non ci si può fermare nemmeno a pisciare?' Parole sue testuali, lineari. Con questo ha ammesso che la macchina era veramente sua. Ma io l'ho saputo proprio il giorno che mi hanno interrogato quelli della Squadra Anti Mostro.

Presidente: Ma lei l'aveva vista una macchina simile in possesso del Lotti?

G.G.: No, io n'avevo vista una celeste...

Presidente: Come?

G.G.: Lui ce n'aveva una celeste, però comunque lui... soltanto una celeste, perché lui l'ha sempre avute rosse le macchine, comunque. Comunque l'ha ammesso lui che la macchina l'era la sua>>.

Insomma, il colloquio tra Ghiribelli e Lotti sarebbe intercorso dopo gli interrogatori subiti dalla Ghiribelli, poiché del particolare della fermata per bisogni fisiologici non vi è traccia nei verbali di dicembre, per quanto vi si parli dell’auto del Lotti con abbondanza di dettagli; l’elemento compare per la prima volta in un’intercettazione telefonica del 25 gennaio, ma riferito a un tempo passato (“l’hai detto tu”); ma a quella data ne aveva già parlato per due volte Pucci agli inquirenti, sia il 2 che il 23 gennaio 1996.  Se il discorso di cui si riferisce nella telefonata intercettata fu precedente o successivo ai SIT del Pucci, non si può sapere con esattezza: in un SIT dell’8 febbraio, la Ghiribelli lo situerà in mezzo ai suoi due interrogatori di dicembre, precisamente il giorno 23 (Al di là di ogni ragionevole dubbio, pag. 149). Tuttavia, se i due compari danno la stessa versione, le spiegazioni più probabili sono fondamentalmente due: o il fatto è vero o la versione è concordata. Un’analisi dei tempi porta ragionevolmente ad escludere un suggerimento (beninteso involontario) degli inquirenti, poiché Lotti venne interrogato, dopo il 15 dicembre, solo l’11 febbraio, quindi ben dopo la famosa telefonata. Quanto a Fernando Pucci, questi era entrato nelle indagini in seguito all’intercettazione di una telefonata tra la Ghiribelli e la Nicoletti del 23 dicembre, era stato sentito più volte prima dell’interrogatorio di Lotti e già il 2 gennaio aveva tranquillamente spiattellato, a semplice domanda, una sua prima versione dei fatti (poi a più riprese integrata e corretta) che collocava lui e Lotti sul luogo del delitto, forse a bordo della FIAT 128 rossa. La concordanza tra Lotti e Pucci, se la frase del Lotti è effettivamente, come sostiene la Ghiribelli, anteriore al primo interrogatorio del Pucci, va comunque spiegata da coloro che sono certi dell’assoluta estraneità ai fatti della coppia Lotti - Pucci.


In merito alla generale attendibilità di questi due testi principali (Alfa = Pucci; Gamma = Ghiribelli) può essere utile un piccolo excursus.

Interrogato in dibattimento il 6 ottobre 1997, Pucci intratterrà con il P.M. questo candido dialoghetto, che riportiamo come al solito da Insufficienza di Prove.

F.P.: (espressione di diniego) Ma io... Ma che c'è mica scritto, costì?

P.M.: Eh

F.P.: No, lo voglio sapere, perché vu' scrivete un monte di robe, io 'un me lo ricordo...

P.M.: Noi, queste robe, per fortuna le abbiamo anche registrate. Quindi...

F.P.: Abbia pazienza... 'Un mi posso ricordare di ogni cosa.

P.M.: No, ma lei non si deve ricordare cosa c'è scritto qui, capito, signor Pucci?

F.P.: Ecco...

P.M.: Lei si deve ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri.

F.P.: Ma io non me lo ricordo.

P.M.: Però, vede, se non se lo ricorda ora, è un fatto; se non se lo ricordava nemmeno prima, è un altro.

F.P.: Eh, non è possibile...

P.M.: Ecco.

F.P.: ... non me ne ricordavo nemmeno prima, sicché... Ora, che vuole, è da tanto tempo che... Chi se ne ricorda! Bah...

Gabriella Ghiribelli, dal canto suo, racconterà per anni una messe di informazioni utili a chiarire la vicenda nell’ottica della pista esoterica e dei mandanti gaudenti, tra le quali la preziosa affabulazione – a suo dire proveniente da un Lotti all’epoca già opportunamente defunto – in merito ad un medico svizzero che in una villa vicina ai luoghi degli omicidi usava i feticci acquistati dagli assassini materiali per compiere esperimenti di imbalsamazione (o rinascita?) del corpo della figlia prematuramente scomparsa. Purtroppo tali esperimenti non avevano buon esito perché al papiro delle istruzioni mancava una pagina (!).


E’ il momento di riassumere. Allo stato delle (mie) conoscenze, la sequenza delle dichiarazioni risulta essere la seguente.

Luglio 1994: Lotti viene sentito dalla SAM in merito alle sue automobili. Dice di aver posseduto una FIAT 128 coupé rossa, ma la cose non viene considerata rilevante.

Ottobre 1995: vengono sentiti i coniugi Chiarappa - De Faveri, che confermano la presenza di un’auto rossa scodata sotto la piazzola di Scopeti nel pomeriggio di domenica 8 settembre 1985.

Novembre 1995: su impulso del Nesi viene sentita Filippa Nicoletti, anche in merito all’auto rossa posseduta da Lotti. Successivamente la Nicoletti allerterà Lotti sul contenuto dell’interrogatorio.

15 dicembre 1995: nuovo SIT di Lotti; non risultano domande sulle auto (? ma vedi intercettazione del 25 gennaio). Lotti fa il nome di Gabriella Ghiribelli.

21 dicembre 1995: primo SIT della Ghiribelli; non a verbale, dice di aver visto quella sera una macchina rossa o arancione che potrebbe essere quella di Lotti.

Data imprecisata: colloquio tra Lotti e Ghiribelli; la Ghiribelli rimprovera Lotti per averla immischiata nella faccenda, Lotti dice: “non ci si può neanche fermare a pisciare”.

27 dicembre 1995: nuovo SIT della Ghiribelli, che riconosce decisamente l’auto del Lotti, pur non avendola mai vista.

2 gennaio 1996: SIT di Fernando Pucci, che ammette di essere stato sul posto insieme al Lotti, forse con la 128 o la FIAT 131 (NdA: erano entrambe rosse; viene “saltata” la FIAT 124 celeste che Lotti indubbiamente aveva nel settembre 1985).

23 gennaio 1996: nuovo SIT di Fernando Pucci, che descrive l’esecuzione del delitto da parte di Vanni e Pacciani.

11 febbraio 1996: SIT di Lotti, che dà la stura alla serie di ammissioni progressive che lo porteranno a una condanna di 30 anni di carcere nel processo di primo grado. In un confronto nella stessa data Pucci ricorda a un incerto Lotti che quella sera viaggiavano “sul FIAT 128, quello rosso”.



 

Dimentichiamoci per un momento che Pucci è dichiarato invalido al 100% per oligofrenia e la Ghiribelli darà nel prosieguo della vicenda chiari segni di sfrenato protagonismo sconfinante nella mitomania; assumiamo che quando detto dalla teste sia vero, che abbia visto un’auto forse rossa, forse arancione, con la coda tronca, posteggiata in prossimità del viottolo che porta alla piazzola degli Scopeti. Risulta chiaramente che la Ghiribelli non riconobbe (né poteva ragionevolmente farlo) l’auto del Lotti (prescindiamo qui dalla incerta “esistenza in circolazione “ dell’auto stessa a quella data); ma vide un’auto che o assomigliava all’auto del Lotti nel 1995 (FIAT 131? Ma allora non era l’auto del 1985) o assomigliava a una FIAT 128 coupé (ma allora perché identificarla con l’auto guidata dal Lotti nel 1995?). La certezza dell’identificazione, a detta della stessa Ghiribelli, che si dichiara del tutto ignorante dei modelli automobilistici, scatta alla malaugurata scusante addotta dal Lotti “Non ci si può nemmeno fermare a pisciare”, un Lotti che già al suo esordio si dimostra un maestro nell’incastrarsi da solo nel ruolo di reo confesso e chiamante in correità.  Quindi, più che un riconoscimento, bisognerebbe parlare di una deduzione (apparentemente) logica, alla quale non sembrano estranei motivi di rivalsa (“tu mi hai immischiato me, allora io ti immischio te”); apparentemente logica perché nata dal preteso riconoscimento di un'altra macchina.



Eppure, sappiamo che senza la Ghiribelli non ci sarebbe stato Pucci e senza Pucci non ci sarebbe stato Lotti. E’ onesto dire che la costruzione giudiziaria dei “Compagni di merende” poggia su basi ben fragili. E’ altrettanto onesto aggiungere, da parte mia, che sul punto non ho verità o certezze da propugnare, ma solo domande. Ogni contributo costruttivo e informato è bene accetto.