domenica 14 maggio 2017

Il teste Alfa (1)





Sono sempre affascinato dalla genesi delle cose e delle opinioni.

Dopo aver studiato la genesi di un’opinione smentita – quella della pista sarda – voglio dedicarmi alla genesi di un’opinione confermata in giudizio – quella dei Compagni di Merende.


Avendo già parlato della teste Gamma (qui) , è il caso di parlare di Alfa, che dovrebbe essere l’inizio: Alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco e non per caso a Fernando Pucci fu affibbiato lo pseudonimo Alfa, quando si trattò di acquisire le nuove testimonianze nell’ambito del processo di appello Pacciani. Pucci, infatti, era all’epoca cronologicamente il primo – e il più importante - testimone diretto dell’ultimo duplice omicidio. La sua importanza verrà poi oscurata dall’astro nascente di Giancarlo Lotti, per cui Beta sopravanzerà di gran lunga Alfa. Ma limitiamoci per ora ad Alfa, appunto Fernando Pucci. Solo che, per capire il modo in cui Pucci irrompe sulla scena delle indagini quel 2 gennaio 1996, bisogna andare ancora a ritroso nel tempo, di un anno e mezzo circa, e riportarsi all’epoca del primo processo Pacciani; è una strada che ho fatto più volte, ma possiamo rifarla, con più attenzione e nuovi documenti, insieme. Avverto però che la strada che porta ad Alfa è lunga e tortuosa e si rischia di perdercisi; per cui mi appello alla pazienza del lettore.


Siamo dunque nel luglio del 1994 e il precedente 8 di giugno il ben noto superteste Lorenzo N., convocato per la seconda volta in aula, aveva detto di aver visto Pietro Pacciani in auto insieme a un’altra persona la sera del 8 settembre 1985 nei pressi di Scopeti. E poi c’era chi aveva visto – o creduto di vedere – Pacciani su un’auto non sua; o, al contrario, qualcun altro, non riconosciuto, vicino all’auto di Pacciani.  Non ci dilunghiamo su questo perché sono cose arcinote, come è arcinoto che da queste testimonianze – e da altre – sorse agli inquirenti l’idea – e poi lo scriverà anche il giudice – che almeno a Scopeti Pacciani avesse un complice. Naturalmente, esisteva nelle menti degli inquirenti un pre-giudizio: che Pacciani non poteva non essere colpevole; onde per cui tutte le testimonianze apparentemente discordanti dovevano essere accordate a questo dato di fatto incontrovertibile. E quindi, in maniera riservata, mentre il processo continuava, si condusse un supplemento d’indagine mirato a scoprire se qualche amico di Pacciani gli aveva dato man forte, magari inconsapevolmente, anche solo prestandogli la propria auto. A questo punto il già citato supertestimone tornò a farsi informalmente vivo con la S.A.M., insistendo non solo sulla lunga e consolidata amicizia tra Pacciani e Mario Vanni, ma facendo altri nomi: in particolare quello di un certo Lotti, detto Garibaldi, anch’egli amico di Vanni, che insieme a Vanni andava a fare l’amore con tale Filippa, la quale, per fortunata coincidenza, aveva abitato in via di Faltignano (e Pacciani era stato visto proprio all’incrocio tra via di Faltignano e via degli Scopeti!), senza contare che nella casa accanto a quella della Filippa aveva abitato la Sperduto Antonietta vedova Malatesta, autoconclamata amante sia del Pacciani che del Vanni! (Si veda udienza del 24 maggio 1994, ma, facendo un ritorno al futuro, anche 27 gennaio 1998 al processo Compagni di Merende). E in più si era saputo, da una recentissima testimonianza, che in quella casa, con la Filippa, aveva abitato un mago che faceva filtri d’amore (quello che fanno tutti i maghi, insomma, ma chissà cosa ci metteva, nei suoi filtri, quel mago, che viveva vicino al luogo di un duplice omicidio e insieme a una donna che forse faceva anche l’amore con due amici dell’imputato). La coincidenza non era poi così cogente, giacché all’epoca del delitto di Scopeti, - secondo quanto riferisce la S.A.M. - sia la Filippa che la Sperduto si erano già trasferite da altre parti, ma andiamo avanti. Sta di fatto che la S.A.M. fece il suo mestiere, prendendo informazioni al PRA e sentendo sia Lotti che la Filippa, identificata per Nicoletti Filippa. Quindi si scopre che questo Lotti aveva posseduto, tra le sue altre macchine, due Fiat 128 coupé (Nota: due? Che sia una duplicazione del PRA?) e il Lotti ricordava infatti di aver posseduto una 128 coupé rossa; mentre di cosa sia stato chiesto alla Filippa e di cosa lei abbia dichiarato non c’è traccia. Questo ritorno di fiamma delle indagini produceva solo un’annotazione di P.G. informale e si acquietava. Rimaneva però nero su bianco che Giancarlo Lotti, amico di Pacciani e Vanni, era stato possessore di una 128 coupé rossa.


Saltiamo ora all’11 ottobre 1995, quando due nuovi testi, Marcella De Faveri e Vittorio Chiarappa, riferirono che nel pomeriggio della domenica 8 settembre 1985 erano stati ospiti del proprietario della villa situata su via degli Scopeti di fronte all'ingresso della stradina che porta alla piazzola del delitto e di aver visto "un'auto dalla forma tronca dietro, di colore rosso sbiadito stazionare per diverse ore sul lato destro della carreggiata; a lato della macchina avevano visto due uomini” (nota: la signora verrà sentita ulteriormente il 14 novembre, dopo di che i coniugi deporranno al processo il 30 giugno 1997). Quindi il commissario Giuttari nell’assumere l’incarico di Capo della Squadra Mobile di Firenze aggiungeva questa fresca testimonianza a quelle che parlavano di due macchine (una bianca, una rossa) a Vicchio e, ancora più indietro nel tempo, eventualmente all’Alfa rossa GT vista alle Bartoline di Calenzano. Nel contempo, veniva a sapere dall’annotazione di cui abbiamo parlato prima, che tale Giancarlo Lotti aveva posseduto una Fiat 128 coupé rossa e che tale Filippa Nicoletti frequentava gli amici di Pietro Pacciani. E che la Fiat 128 di Lotti fosse già nel cuore  degli inquirenti risulta dal SIT reso direttamente al P.M. il 27 novembre 1995 da Filippa Nicoletti, alla quale viene addirittura mostrata una fotografia di un’auto di quel tipo affinché la riconosca come (identica a) quella di Lotti, il che la teste ovviamente fa.

Che la macchina rossa sia il grimaldello di questa fase dell’indagine me lo conferma anche un documento riservato ove si parla dell’interrogatorio subito il 6 dicembre 1995 da Sabrina C., alla quale veniva pressantemente richiesto di identificare la macchina che, nel pomeriggio della domenica 8 settembre, era arrivata nella piazzola mentre lei e il fidanzato stavano andando via. Pare che la polizia fosse convinta, con una certa insistenza, che l’uomo fosse Mario Vanni (eppure si doveva ben sapere che Vanni non guidava l’auto!). Chi volesse ricostruire l’episodio può combinare i vari articoli comparsi sui giornali il giorno 7 dicembre con il confuso controesame della teste condotto dall’avvocato Colao in data 30 giugno 1997 (si veda Insufficienza di prove e, volendo, la registrazione dell’udienza su radio radicale, dove è evidente lo stupore di Colao e l’imbarazzo di Canessa).  Si legga anche questo estratto da un articolo non firmato, apparso su La Repubblica 16 dicembre 1995 “La settimana scorsa la squadra mobile interrogò a lungo un' altra testimone: una signora che ricorda un particolare che potrebbe diventare decisivo. Secondo quella testimonianza un amico di Pacciani fu visto su un' auto rossa nella campagna di Scopeti, dove il mostro uccise i turisti francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, pochi giorni prima di quel delitto, nel settembre 1985”. Ma appunto questa notizia data alla stampa da qualcuno non verrà affatto confermata al dibattimento.


Il verbale del 6 dicembre non è disponibile, ma, atteso che il riconoscimento dell’amico di Pacciani (ossia, per parlare chiaro, Mario Vanni) venne poi recisamente smentito,  il dato importante è che si parlò di un motorino rosso appoggiato su un albero visto nei giorni precedenti il delitto. Questo si desume sia dalla trascrizione dell’udienza del 1997 sia dagli articoli di giornale dell’epoca, in particolare la nazione, dove, a firma di Amadore Agostini è gran discorso di questo motorino, che ovviamente doveva essere quello di Pacciani. Di un motorino o motocicletta a Scopeti avevano peraltro parlato anche i testi Pordoli nell'immediatezza e Iacovacci al processo del 1994.






Ci stiamo avvicinando ad Alfa, che al momento è ancora un perfetto sconosciuto. Infatti, l’utenza telefonica della Nicoletti viene messa sotto controllo e il commissario Giuttari sente Lotti il 15 dicembre, ma, a quanto risulta ufficialmente, non si parla di auto (Giuttari, Il Mostro pag. 104 e segg.). Il giorno dopo, però, Lotti telefona alla Filippa, che è intercettata (e dall’intercettazione si comprende che si è parlato di macchine, fuori verbale, almeno di quella vista a Calenzano) e viene informato dalla donna che a lei è stato chiesto della macchina rossa, il 128 coupé, e che “loro (= la polizia) hanno una foto della macchina”. Al che Lotti si limita a ribattere: “ah quel coupé, il 128… ti hanno fatto vedere quello? Ma quello è da quindici anni e più…” L’intercettazione viene ritenuta rilevante dalla SAM in quanto il Lotti vi ammette di aver posseduto una Fiat 128 coupé rossa (ma lo aveva già pacificamente ammesso nel 1994!) e l’auto poteva essere messa in relazione con quella vista il pomeriggio di domenica 8 settembre 1985 nei pressi della piazzola del duplice omicidio di Scopeti (quindi, ci si riferisce alla testimonianza Chiarappa – De Faveri).

L’audizione di Lotti ha però portato a un nuovo nome, Gabriella Ghiribelli; viene sentita il 21 dicembre e anche a lei viene mostrata la foto dell’auto “di Lotti” (anche qui veniamo a saperlo non dal verbale, ma dalla successiva intercettazione; l’identificazione formale, con la discussione sullo sportello, avverrà nella seconda convocazione del 27 dicembre, ma di questo ho già parlato ad abundantiam nell'articolo linkato all'inizio). Sta di fatto che al 27 dicembre abbiamo i seguenti elementi d’informazione scaturiti dall’indagine in corso: l’auto di Lotti (con due uomini) che staziona tutto il pomeriggio di domenica davanti alla piazzola e forse nel pomeriggio tenta di entrarci, ma la trova occupata; l’auto di Lotti che viene avvistata nello stesso luogo intorno alle 23.30 (testi Ghiribelli e Galli, nonostante le discordanze tra loro); e Ghiribelli che già il 23 dicembre si lascia sfuggire al telefono che è strano che Lotti, parlando a vanvera come è solito fare, non abbia ancora messo in mezzo il suo amico del cuore, Fernando. Chi è Fernando? Come ben sappiamo con il senno di poi, è il teste Alfa.

Prima dell’entrata in scena di Alfa dobbiamo però situare ancora un episodio, rilevante, ma del quale purtroppo si sa poco di certo: l’incontro avvenuto tra il Lotti e la Ghiribelli, a Firenze, nel corso del quale lui avrebbe giustificato la sua presenza agli Scopeti la sera dell’8 settembre 1985 con la fatidica frase “Non ci si può più fermare neanche a pisciare!” Da un documento che ho potuto consultare grazie alla cortesia di un amico mostrologo, risulta il seguente stralcio di intercettazione telefonica, in data 28 dicembre 1995 (nota: a parlare è la Ghiribelli):

  G.G. mi hanno fatto vedere una macchina.....tanti testi dicono che hanno visto una macchina rossa con uno sportello più chiaro....a quell'epoca, ...agli Scopeti. Secondo che ho capito io l'hanno detto anche a lui ( sta parlando di Lotti). ..."Lei ha la 131 rossa con lo sportello di un altro colore. Come mai adesso ha venduto la macchina?.....Perché noi sappiamo che ha comprato due gomme antineve per questa macchina! Come mai le ha comprate e dopo 15 giorni che l'abbiamo interrogata ha cambiato la macchina?" Mi hanno chiesto :" lei cosa ne sa di questa storia? ". Io ho risposto che non andava più. (…) comunque questo cretino ha venduto la macchina dopo due giorni che l'hanno interrogato. A loro sembra che lui abbia qualcosa da nascondere…

Non si capisce bene se la Ghiribelli stia riferendo quello che le hanno detto in questura o un suo colloquio diretto con il Lotti o un mix di entrambe le cose. Sta di fatto che Giancarlo Lotti al più tardi al 28 dicembre è ampiamente allertato del fatto che la sua auto sarebbe stata vista quella domenica pomeriggio e sera agli Scopeti. Naturalmente non sa che l’auto rossa è stata vista nel pomeriggio (da Chiarappa – De Faveri), ma sa del presunto avvistamento della Ghiribelli e probabilmente, se la sequenza temporale è quella corretta, ha già trovato, nella sua agile mente, una scusa buona: non ci si può nemmeno fermare a pisciare?

Per inciso, nel pomeriggio del 28 dicembre, come sappiamo dai giornali, viene interrogato un testimone segreto, un uomo di una certa età, abitante a San Casciano. “Ignorava il motivo per cui era stato convocato in questura ed era anzi abbastanza spaventato da questa convocazione”, ci dice ancora Amadore Agostini su la Nazione del 29 dicembre (la notizia verrà brevemente battuta anche dall’ANSA). Chi è questo testimone segreto, abitante a San Casciano, di una certa età e comprensibilmente spaventato? A mia scienza, nessun libro ne parla, neppure Giuttari, che nei suoi due volumi è piuttosto meticoloso su questa fase delle indagini. Forse il teste segreto non aveva nulla di interessante da dire.



Sia come sia, Pucci / Alfa, di anni 64, pensionato (pensione di invalidità per grave oligofrenia, ma questo tralasciamolo per ora)  è facilmente identificato e convocato in questura  il 2 gennaio 1996. Interrogato da Giuttari, comincia subito male raccontandogli quella dell’uva sulla rottura della sua amicizia con Lotti  circa 10 anni prima. Poi si parla un po’ della Gabriella, un po’ di Vanni; dopo di che Giuttari chiede molto semplicemente se si sia mai fermato a Scopeti con Giancarlo.  Una nota: nel libro “Compagni di sangue” (pag. 77) Michele Giuttari ritiene opportuno precisare: “ Formulai in maniera diretta la domanda sia perché già conoscevo la circostanza della presenza di un auto simile a quella del Lotti agli Scopeti la notte del delitto (…)”; e d’altronde, aggiungiamo, giacché la signora De Faveri aveva visto due uomini – e la Sabrina C. aveva escluso che ci fosse Vanni, - chi altri avrebbe potuto trovarsi con il Lotti se non il suo compagno di girate Pucci, che ha appena detto che era solito trascorrere insieme al Lotti tutte le domeniche pomeriggio e sera? Insomma, sembra che il commissario vada sul sicuro.
E infatti, siccome due più due fa sempre quattro, Pucci spiattella subito tutto; beh, non proprio tutto, una prima versione: “ricorda bene” di essercisi fermato solo una volta, agli Scopeti, e circa 10 anni prima, e proprio una domenica e proprio mentre tornavano dalla settimanale ora di ricreazione con la Gabriella e insomma, si sono fermati per un bisogno fisiologico.

C’era la tenda, c’era la macchina e dalla macchina sono scesi due uomini che si sono messi a vociare e li hanno cacciati via. E la macchina di Lotti qual era? Non ricorda di preciso, ma certo era rossa, o il 128 coupé o il 131 (come sappiamo, tra le due Lotti ha avuto anche la 124 celestina, ma per qualche strano motivo il ricordo di Pucci si concentra subito  sulle auto rosse). Però questa versione non deve essere sembrata, agli occhi degli inquirenti, del tutto soddisfacente. Che ci facevano infatti i due uomini vocianti (ossia Pacciani e l’ancora ignoto suo complice, come è facile immaginare anche se i nomi non sono stati fatti) nella macchina dei francesi? Pucci corregge un po’ il tiro. L’auto non è più vicina alla tenda, ma a metà strada tra l’asfalto (via degli Scopeti) e la piazzola (ma ora, la macchina dei francesi dov’è andata a finire?). Ora va tutto bene, è normalissimo che il teste, dopo dieci anni, possa confondere le posizioni dell’auto o dove si trovassero i due uomini. Quello che appare molto strano è che nella breve scena che descrive (scendono dall’auto per fare un po’ d’acqua, vengono affrontati e minacciati dai due tipacci, e subito se ne vanno, anche rincorsi dai due) il teste abbia avuto il tempo e la prontezza di spirito di notare un vecchio motorino che era appoggiato nel pressi del cancello al muro o ad un albero. E allora non si può non ricordare la testimonianza della Sabrina C., e conseguente grancassa di stampa, sulla presenza del motorino appoggiato a un albero.

In altre parole, è naturale che chi vive un evento choccante come quello narrato dal Pucci, ne serbi a lungo il ricordo, anche a grandi linee, impreciso; ma quanto è probabile che, all’interno della scena principale (la minaccia, la fuga) si serbi il ricordo di un particolare insignificante che nulla a che fare con l’evento? Questa sovrabbondanza di particolari, in genere utili all’investigazione, ossia “riscontri” a posteriori di conoscenze già acquisite, è una costante dei testimoni particolarmente collaborativi.

Nella seconda parte cercheremo di seguire il processo di liberazione di Alfa, che per ora ha detto quello che gli inquirenti si aspettavano, ma non tutto quello che si aspettavano; e avrà ancora molto da dire.


(SEGUE)












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